Cronaca

Crisi del calcio italiano: quali le possibili soluzioni per riemergere

La crisi del calcio italiano: analisi e problematiche che attanagliano il mondo del pallone nello stivale. Quali le possibili soluzioni?

Crisi del calcio italiano

“Il campionato italiano è il più difficile al mondo”, dicevano. “È un onore giocare in un campionato così competitivo”, dicevano, ed erano in molti, tra i calciatori più grandi che avessero mai calcato il terreno di gioco in quel periodo: non importava da quale nazionalità provenissero, il nostro calcio rappresentava un vero e proprio punto d’arrivo, più che un punto di partenza. Sembra passata un’eternità da quel Milan-Juventus di Manchester, dove in eurovisione veniva messo in mostra l’orgoglio del calcio italiano, sempre più dominatore in Europa e nel mondo; quel giorno rappresentava una sorta di punto d’arrivo per il “football” nostrano, ma come un famoso proverbio sentenzia, ciò che va su prima o poi andrà giù.

A picco. Siamo stati scavalcati dalla Germania, che ha raggiunto proprio quest’anno, come noi, quel punto d’arrivo di cui parlavo poc’anzi, presentando in finale di Champions due rappresentanti del proprio paese, sinonimo di un calcio sempre più in crescita. In molti danno la colpa agli sceicchi, alla crisi economica, ma forse il vero motivo va cercato nella sommatoria di diversi fattori: dopo lo scandalo Calciopoli i trionfi in terra estera, per le compagini nostrane, sono stati sempre più effimeri ed estemporanei; da dominatori a dominati, tra scandali, polemiche e controversie. È anche questo il bello del calcio, si sa, ma la flessione è stata troppo verticale ed improvvisa per ricercarne le cause in un unico fattore: in tempi di crisi c’è chi ha trovato altre soluzioni, puntando sui giovani e sulle strutture, strizzando l’occhio alla programmazione senza alcun tipo di frenesia; parole sconosciute in un paese come il nostro.

Forse è un problema di mentalità, ma il tallone d’Achille del calcio italiano sembra essere proprio questo: c’è paura nel rischiare l’investimento a lungo termine, si pensa più alla quantità che alla qualità, si pensa più al calciatore che al contesto globale. Le società italiane solo adesso pagherebbero oro per avere una struttura come lo Juventus Stadium, ma prima non c’avevano pensato in molti: ecco, quello è un esempio d’investimento e, soprattutto, di sguardo verso il futuro; e invece ci preoccupiamo di comprare lo straniero di turno, il calciatore affermato, senza puntare un minimo sul settore giovanile, sullo staff medico (vedasi l’incredibile caso infortuni in casa Inter), su un progetto a lungo termine. Basta scandagliare anche l’argomento “allenatori”: in Inghilterra si è appena ritirato Sir Alex Ferguson, dopo una carriera ventennale, vera utopia nel nostro paese, dove basta qualche sconfitta di troppo per diventare il brocco di turno e venir silurato come uno shuttle nello spazio.

In un paese dove il futuro appare sempre più nebbioso, si guarda troppo al presente dimenticandoci del futuro, un presente che, a conti fatti, si rivela sempre e comunque poco redditizio: una mentalità “impazientita” che serpeggia sempre più nelle menti dello stivale, mentalità che si sta riflettendo anche sul calcio. Mettiamoci pure la crisi economica e l’indebolimento di diverse società causato da scandali sempre più ciclici e la frittata è fatta: quando riusciremo a guardare più al futuro che al presente, forse avremo una speranza di risalire; in realtà, qualcuno lo sta già facendo, ma si sa, in Italia sappiamo scrutare in casa altrui principalmente per criticare, e siamo troppo orgogliosi per metterci in gioco e trarre qualche sana “fonte d’ispirazione”, il che non fa mai male se assimilata ed esposta in maniera tutta personale. Ma siamo pronti per questo?

Giuseppe Senese

Sono un laureando in Scienze e Tecnologie Informatiche, che nutre anche numerose passioni come la musica, il cinema e il calcio. Adoro il Rock Progressivo degli anni 70' (soprattutto quello britannico e quello italiano) e sono un tifoso sfegatato del Napoli.

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