Cronaca

Eccidio di Pietralata. Una storia incredibile.

 

 

Ci sono dei film che conquistano gli Oscar per la loro storia, per l’emozione che suscitano, gioia o malinconia, le lacrime che poi si uniscono agli applausi. Film recitati da attori fenomenali. Un team di sceneggiatori che scrivono la trama cercando di renderla più appassionante possibile.

eccidio di pietralata
Il manifesto bilingue

Ma a volte la vita regala una trama incredibile, che nemmeno un grande libro, un grande film può imitare, come quella che raccontiamo oggi, in un contorno folle, la seconda guerra mondiale, non ci sono eroi, o forse si, un martire. Tanti carnefici per una sola vittima.

Eccidio di Pietralata.

Siamo nella resistenza romana alle truppe di occupazione tedesche che va dal settembre 1943 al giugno 1944.

Roma, zona Tiburtina, più precisamente Pietralata. Una mattina, quella del 22 ottobre 1943, quaranta partigiani delle borgate romane di Ponte Mammolo, Pietralata e San Basilio, organizzati dal Movimento Comunista d’Italia-Bandiera Rossa Roma, si erano posti come obiettivo la caserma del Forte Tiburtino (l’attuale caserma A.Ruffo), sorvegliata da sentinelle tedesche ma all’interno della quale erano rimasti viveri, armi, munizioni e medicinali, lasciati dai militari italiani al momento dello sbandamento dell’8 settembre 1943.

Pur essendo state colte di sorpresa, le sentinelle tedesche riuscirono a dare l’allarme e i partigiani, già all’interno del forte, furono circondati dalle SS. Dopo un breve combattimento, che causò vittime da entrambe le parte, ventidue partigiani furono catturati per essere imprigionati nel vicino Casal de’ Pazzi. Nel frattempo, tre partigiani erano riusciti a mettersi in fuga e, nell’antico casale, ne giunsero solamente diciannove.
I prigionieri, dopo aver passato la notte nel cortile del casale, sotto la luce dei riflettori e la minaccia delle mitragliatrici, furono portati, legati a due a due, di fronte al Tribunale Militare tedesco, situato nella villa della tenuta Talenti, poco lontano. Qui si svolse un processo pauroso, che emise il verdetto senza che gli accusati si potessero difendere e senza che avessero compreso neppure il verdetto(essendo in lingua tedesca), dieci condannati a morte, cinque alla prigionia e quattro ai lavori forzati. I condannati furono poi riportati al Casal de’ Pazzi.

Nel tardo pomeriggio del 23 ottobre, i nove prigionieri non condannati a morte, furono prelevati dai soldati della divisione paracadutisti “Hermann Goering” e trasferiti su un camion in un valloncello tra i campi che fiancheggiano la via Tiburtina, presso il caseificio di Ponte Mammolo, all’altezza del Km. 10. Qui furono costretti a scavare una fossa di due metri per tre, profonda due. A notte inoltrata, completato lo scavo, i nove vennero riportati sul luogo della prigionia.
Intorno alla mezzanotte, furono caricati sul camion i dieci condannati a morte, bendati e legati, e fatti scendere sul luogo dell’esecuzione.

E qui arriva l’incredibile:

Il decimo dei condannati era un ragazzo di quattordici anni, Guglielmo Mattiocci, che indossava dei grossi stivali da ufficiale. Mentre si stava svolgendo l’esecuzione, un paracadutista tedesco gli chiese quanti anni avesse e lo fece slegare; fu bellissimo il gesto dell’ufficiale tedesco, quanto però fu tragico il seguito, ad ogni modo un ufficiale della Polizia dell’Africa Italiana (PAI), presente all’eccidio, gli suggerì di offrire gli stivali al tedesco, in cambio della salvezza. Il paracadutista accettò e lo fece nascondere.

E qui è da brividi. I condannati dovevano essere 10, come da processo, il militare tedesco, avendo graziato il 14enne aveva abbassato il numero dei condannati a 9. E questo avrebbe creato a lui non pochi problemi e spiegazioni da dare. Nell’andirivieni del momento, il tedesco fermò allora un ciclista che transitava casualmente sulla Via Tiburtina, Fausto Iannotti, e lo costrinse a salire sul camion. E’ il ciclista il nostro eroe, purtroppo divenne casualmente lui la decima vittima, incontrò la morte nel modo più triste, più ingiusto. Quando i camerati tornarono per prelevare l’ultima vittima, lo Iannotti fu consegnato e accompagnato a morire.

Il giovane graziato Guglielmo Mattiocci assistette all’incredibile e ingiusta scena, non si seppe quale fu la sua reazione, ma possiamo immaginarla, gratitudine verso il militare tedesco che lo aveva salvato ma enorme disperazione per quella vittima casuale uccisa al suo posto. Il 14enne venne successivamente riunito al gruppo dei sopravvissuti e poi trasferito a Regina Coeli.

Pur  avendo comunicato, soltanto alla fine, mediante un manifesto bilingue l’avvenuta esecuzione, i tedeschi tacquero il luogo dell’eccidio. Solo nel giugno del 1945, fu possibile riesumare i corpi degli uccisi. Le cronache de L’Unita di quei giorni citano però il rinvenimento di nove corpi, non dieci.

Non sono giunti a noi altri documenti, per capire se poi Fausto Iannotti fu ucciso, se il suo corpo era tra i nove ritrovati massacrati e un altro dei condannati si salvò, oppure se fu proprio Iannotti che riuscì ad evitare la sua tragica fine.

Ma quale Brad Pitt, ma quale George Clooney, l’Oscar io lo do a Fausto Iannotti, un vero eroe, protagonista di una vita vera, condannato alla morte per rimpiazzare un altro, lui, il primo che passava per caso in bicicletta, è un eroe perchè fino all’ultimo, a gente come me, ha dato la speranza che ce la possa aver fatta ugualmente, che quel corpo che alla conta finale mancava sia proprio il suo e che abbia potuto vivere e pedalare per molti anni ancora, con posata sul manubrio la consapevolezza della follia della seconda guerra mondiale.

Moretto

Scrive su SenzaBarcode dalle origini. Redattore, imprenditore

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