Politica

Giulio Andreotti: luci e ombre di un secolo di storia italiana

-Seconda parte-

Il Memoriale di Aldo Moro, evidentemente prezioso per le informazioni in esso contenute, sarebbe stato consegnato dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a Giulio Andreotti. Nel 1982 lo stesso Dalla Chiesa scrisse al Presidente del Consiglio Giovanni Spadolini che la Democrazia Cristiana – in particolar modo quella siciliana – era il gruppo politico più fortemente inquinato dalle correnti mafiose.

Giulio Andreotti: luci e ombre di un secolo di storia italiana

 Nel 1979 vennero compiuti due omicidi nel giro di pochi mesi: quello del giornalista Carmine Pecorelli a Roma e dell’avvocato Giorgio Ambrosoli a Milano.

Pecorelli si occupava di indagini politiche; aveva intrapreso una campagna di stampa sui finanziamenti illegali della DC e sulla mancata distruzione dei fascicoli SIFAR da parte di Andeotti, ma sembra fosse anche a conoscenza di risvolti  importanti riguardo il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. Pochi giorni prima di essere ucciso, il giornalista aveva incontrato il generale Dalla Chiesa per ricevere informazioni sul Memoriale.

Dopo le rivelazioni di alcuni pentiti, Andreotti fu indagato come mandante dell’assassinio di Pecorelli, ma la Corte di Cassazione ne decise l’assoluzione dieci anni più tardi. Nel 1993 il mafioso pentito Tommaso Buscetta raccontò di aver saputo dal boss  Gaetano Badalamenti che l’omicidio Pecorelli  era stato compiuto nell’ interesse di Giulio Andreotti.

Non è dunque solo la vicenda di Aldo Moro ad essere rimasta nell’ombra della storia italiana del periodo andreottiano.

Lo stesso anno – 1979 –  Giorgio Ambrosoli venne assassinato da un vicario ingaggiato da Michele Sindona, noto banchiere siciliano esponente della loggia massonica P2 e dagli evidenti legami con la Mafia. L’ avvocato milanese, incaricato commissario liquidatore, indagava da ben 5 anni sui movimenti sospetti del “mago della finanza”.

Riguardo il delitto di Ambrosoli, Giulio Andreotti aveva dichiarato in un’intervista datata 2010: “…è una persona che in termini romaneschi se l’andava cercando”, scatenando moltissime polemiche. I rapporti fra Andreotti e Sindona erano infatti di antica data e si intensificarono nel 1976 durante lo scandalo della Banca Privata Italiana, quando vennero alla luce le gravi irregolarità di bancarotta fraudolenta commesse dal banchiere, trasferimenti milionari misteriosamente confluiti nelle casse della DC, nonché riciclaggio di denaro sporco appartenente a mafiosi – come l’americano John Gambino – . In seguito all’omicidio Andreotti prese le distanze da Sindona il quale, dopo un fallimentare finto sequestro e pressioni fatte ad alleati politici e banchieri, venne condannato negli USA all‘ergastolo per 65 capi d’accusa. Due giorni dopo morì in cella per avvelenamento.

Dal 1983 al 1989 Andreotti è stato Ministro degli Esteri del Governo socialista di Bettino Craxi, favorendo  il dialogo fra USA e URSS e facendo da tramite, sul fronte nazionale, fra Craxi e il leader della DC Ciriaco De Mita. Il periodo del triangolo politico denominato CAF, ovvero Craxi-Andreotti-Forlani,  fece perdere a De Mita la guida del Governo nel 1989 e condusse Andreotti ancora una volta verso la Presidenza del Consiglio.

Nel 1990, durante il mandato in Quirinale di Francesco Cossiga, Andreotti divulgò il segreto dell’esistenza della Gladio, struttura paramilitare segreta istituita della NATO, sulla cui clandestinità il Presidente della Repubblica e le più alte cariche dello Stato erano a conoscenza da anni. A causa di questo gesto Andreotti venne più volte attaccato istituzionalmente da Cossiga – soprannominato in tale frangente “picconatore”.

Gli anni ’90 hanno fatto da cornice agli scandali di Tangentopoli.  Il “Divo” risultò pulito durante le indagini, ma non fu giudicato altrettanto pulito riguardo i suoi rapporti con la criminalità organizzata: nel 1993 venne infatti accusato di favoreggiamento alla Mafia – assolto in Cassazione 10 anni dopo – dopo la nomina di Salvo Lima quale sottosegretario al Bilancio. Lima era noto alla giustizia per i suoi legami con la Mafia siciliana, per mano della quale venne probabilmente assassinato nella  primavera del 1993.

“Lima è troppo forte e troppo pericoloso”, affermava Aldo Moro.

Con una sentenza del 2003 venne accertata la collaborazione di Andreotti con Cosa Nostra fino al 1980, ma il reato di partecipazione ad associazione a delinquere – del quale si era macchiato – fu estinto per prescrizione. Andreotti ne uscì dunque nuovamente indenne: il reato di associazione mafiosa era stato infatti introdotto solo nel 1982.

In seguito all’assassinio di Lima e dopo l’attentato che causò la morte del magistrato Giovanni Falcone nel 1992, Andreotti non venne proposto al Quirinale, come auspicato in prima analisi. L’ allarme mafioso in Italia era giunto a livelli preoccupanti e considerando l’appartenenza politica di Lima, Giulio Andreotti non sembrava il personaggio più adatto a rappresentare il Paese.

Nel 1994 la Democrazia Cristiana si sciolse e Andreotti entrò nel Partito Popolare fino al 2001, quando fondò la  Democrazia Europea,  dal cui seme nacque l’ Unione Di Centro.

Tangentopoli aveva contribuito a stravolgere  la DC, facendola pian piano morire, così come il Partito Socialista. Ma Andreotti ne venne fuori sempre indenne, o quasi. Egli conosceva bene la complessa macchina dello Stato e aveva saputo in molte occasioni manipolarla…

I rapporti tra politici italiani, criminalità organizzata e loggia massonica vivono in una strada impervia e oscura, i cui vicoli Andreotti non disdegnò in molte occasioni di attraversare.

Si dice che spetti alla Storia giudicare. Noi abbiamo il compito di scegliere in che modo cercare e interpretare ciò che spesso la Storia rende arduo scoprire.

2 pensieri riguardo “Giulio Andreotti: luci e ombre di un secolo di storia italiana

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