Sindacati che fanno rima con politica; ma con lavoro?
I rappresentanti dei maggiori sindacati italiani –CGIL, CISL, UIL– si sono riuniti a Perugia, in occasione delle festa dei lavoratori, in memoria delle due donne, impiegate della Regione Umbria, uccise sul posto di lavoro da un uomo che ha ritenuto che 160 mila euro fossero più importanti della vita di tre persone, la sua compresa.
I politici, insieme ai sindacalisti, dall’inizio dell’anno gridano che bisogna ridare dignità e centralità al lavoro, che i giovani vanno tutelati e non sfruttati, che bisogna concedere un futuro a chi ora non può crearselo in nessun modo.
Non c’è destra, sinistra o “grillinolandia” che non parli della tragedia della disoccupazione in Italia, che non la usi come cavallo di battaglia o slogan elettorale.
Però, riflettendoci bene, data l’età media della classe politica e l’ostinazione dei partiti nel riciclare i propri componenti, chi ha portato il nostro Paese in queste condizioni non sono di certo gli alieni, ma bensì le stesse persone che oggi gridano allo scandalo. Da questa ennesima barzelletta italiana non sono esclusi neanche i sindacati, che negli anni hanno accettato lo smantellamento dei diritti dei lavoratori, nonostante l’Italia potesse vantare uno dei migliori sistemi per la tutela del lavoro dipendente – Statuto dei lavoratori, 1970-.
In effetti chi ha accettato l’inserimento della Legge Biagi, le imposizioni di Marchionne – e qui è dovuto ricordare l’art. 1 dello Statuto dei lavoratori:
I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente Legge
spacciandole per il bene dei lavoratori, chi ha firmato l’accordo con Confindustria per il patto sulla rappresentanza -che con questo accordo è riuscita ad eliminare in un sol colpo sia la FIOM, troppo scomoda per i datori di lavoro, sia la possibilità che la volontà dei lavoratori abbia realmente un peso sulle scelte dei datori di lavoro- sono proprio i nostri cari sindacati.
Quelli che ora gridano dai palchi, dalla testa dei cortei, che il lavoro deve ritrovare la centralità che merita, sono gli stessi che hanno accettato l’inserimento della schiavitù – stage, praticantati e co.co.pro- tra le varie definizioni di “lavoro dipendente”.
Nonostante il movimento sindacale sia da sempre riconducibile alla sinistra italiana, i primi sindacalisti – vedi Di Vittorio – si son sempre preoccupati di restare indipendenti dalla politica, se ci si avvicina troppo al potere, si sa, si finisce col bruciarsi. Inevitabilmente ci si dimentica qual è il motivo reale per cui il sindacato è stato creato e si “muore da pompiere, nonostante si sia nati incendiari”.
Io ultimamente, quando penso ai sindacalisti, non posso far altro che associare a loro una poesia di Trilussa:
Er Compago Scompagno
Un Gatto, che faceva er socialista
solo a lo scopo d’arivà in un posto,
se stava lavoranno un pollo arosto
ne la cucina d’un capitalista.
Quanno da un finestrino su per aria
s’affacciò un antro Gatto: – Amico mio,
pensa – je disse – che ce so’ pur’io
ch’appartengo a la classe proletaria!
Io che conosco bene l’idee tue
so’ certo che quer pollo che te magni,
se vengo giù, sarà diviso in due
:mezzo a te, mezzo a me… Semo compagni!
– No, no: – rispose er Gatto senza core
io nun divido gnente co’ nessuno:
fo er socialista quanno sto a diggiuno,
ma quanno magno so’ conservatore!