Legge dei 100 anni Le ragioni di una ricerca Emilia Rosati I° parte
Legge dei 100 anni Le ragioni di una ricerca Emilia Rosati I° parte
Vorrei brevemente accennare alla particolare situazione nella quale si trovano numerose persone adulte che vivono un profondo disagio esistenziale, diverso per ciascuno in intensità tonalità e sfumature, ma con la stessa matrice: essere un figlio adottato, che, non essendo stato riconosciuto alla nascita, non potrà mai, e sottolineo quel mai per tutta la categoricità e il senso di disperazione che lo connotano, conoscere il nome della propria madre naturale.
Non a caso ho parlato di adulti, in quanto per un bambino o un adolescente tale informazione sarebbe difficile da elaborare e gestire, mentre diventa assolutamente proponibile ad una età in cui l’evoluzione del ciclo di figlio abbia contribuito a strutturare strumenti emozionali e critici per affrontare una realtà che, per quanto difficile, resta la propria unica e irripetibile realtà, non da evadere, ma da incontrare.
La legge
L’antica questione del “diritto” a conoscere la propria identità biologica da parte di tutti, anche prima dei previsti quanto improbabili cento anni, ritorna di attualità con la recente sentenza della Corte di Strasburgo, che condanna l’Italia per non aver ricercato un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco.
L’attuale ordinamento italiano non consente al figlio adottato e non riconosciuto alla nascita di accedere all’identità dei propri genitori biologici, considerando prevalente l’interesse del genitore di conservare l’anonimato rispetto all’interesse del figlio di conoscerne l’identità. Tale divieto non opera per i figli adottivi riconosciuti alla nascita, per i quali la Legge 149/2001 prevede un accesso raggiunto il venticinquesimo anno di età -ed anche prima in taluni casi e con differenti modalità-. Questo crea evidentemente un ulteriore discriminazione tra gli adottati, oltre a quella già operante tra i figli adottivi e i figli tout court.
Crediamo che uno stato civile e democratico non possa non allinearsi al resto dell’Europa, riconoscendo a tutti i cittadini pari dignità, ed è di questa dignità che stiamo parlando, quando chiediamo di riappropriarci dei nostri dati vitali.
Le nostre istanze, considerato il carattere etico che le contraddistingue, sono state recepite trasversalmente dai rappresentanti politici e costituiscono oggetto di quattro Proposte di Legge attualmente in discussione in Parlamento.
In particolare, nella II Commissione giustizia della Camera dei deputati è in esame (appartenenti alla scorsa legislatura), dal gennaio 2010, il Progetto di Legge 2919( PDL), unificato ai PdL n. 3030(PD) e al n. 1899 (UDC), che reca “Modifiche all’articolo 28 della legge 4 maggio 1983, n. 184”, in materia di accesso dell’adottato alle informazioni sulla propria origine e sull’identità dei genitori biologici, da realizzarsi attraverso una procedura di mediazione, in parte simile a quella seguita in Francia con la legge 22 gennaio 2002 n.93 che ha istituito il “Consiglio nazionale per l’accesso alle origini personali”, con il compito di agevolare l’accesso alle origini degli adottati. Tale procedura sarebbe attuabile a partire dai 25 anni, mediante una richiesta da parte dell’interessato e previo il consenso della madre biologica, che, a distanza di anni ed in mutate condizioni esistenziali (nonché storico-culturali) potrebbe non avere più alcun vincolo rispetto alla possibilità di palesarsi, restituendo ad un figlio la completezza della propria storia personale e dei parametri genetici, indispensabili anche nel caso di malattie ereditarie, e per rendere praticabile, nel campo della salute, quella stessa prevenzione di cui possono godere gli altri cittadini.
E’ poi presente in Senato il progetto di legge n.1898 (PDL) nel quale si prospetta di attendere fino a 40 anni per far valere, senza autorizzazione del giudice, né del genitore naturale, un pieno diritto a ricevere ogni informazione in ordine alla propria origine e all’identità dei propri genitori biologici.
Una insopprimibile esigenza
L’attuale normativa ci impedisce di far luce su una zona senza ricordi e senza storia che sta all’origine della nostra vita e del nostro sviluppo, rendendoci eternamente incompleti e destinati a morire senza aver avuto piena cognizione di noi stessi.
Partendo dalla domanda fondamentale “chi sono?” l’uomo si aspetta una risposta non solo relativa al presente, ma che si riferisca anche a ciò che è stato nel passato, perché il passato non viene inghiottito nel nulla, ma resta come elemento che struttura la sua vita nell’oggi, e ne condiziona il futuro.
In tal senso la conoscenza delle origini contribuisce a formare l’identità entrando nell’insieme di realtà che rappresentano il punto di partenza dello sviluppo umano. Per identità si intende la rappresentazione totale di un individuo, che la filosofia esistenziale definisce “unico ed irripetibile”, rappresentazione che è fondamento stesso della consapevolezza di ciascuno di essere un uomo e di essere “quell’uomo” in particolare.
Noi non desideriamo per questo che venga messa in discussione la possibilità per la donna di partorire in anonimato, riconoscendo le valenze racchiuse in tale istituto legislativo. Chiediamo però che venga realizzato un effettivo bilanciamento dei diritti in causa consentendo, finalmente, ai figli adottivi non riconosciuti alla nascita, di uscire da una condizione nella quale si sentono ombre, senza alcuna possibilità di replica né decisionale sulle scelte di cui sono stati fatti oggetto.
Un figlio senza passato avverte l’inesistenza di una immagine interna dei genitori naturali.
Aspetti psicologici: Le ragioni di una ricerca Emilia Rosati II° parte