Bangladesh, dopo il crollo la protesta
290 è il numero delle vittime del crollo del Rana Plaza a Savar, un edificio di 8 piani alla periferia di Dhaka, Bangladesh. Durante la notte i soccorritori sono riusciti ad estrarre delle macerie altri 45 sopravvissuti, ma la speranza di trovare altre persone vive diminuisce di ora in ora.
L’edificio crollato Martedì ospitava diverse fabbriche di vestiti, una banca e un centro commerciale per un totale di 3000 persone. Poco prima del crollo si erano notate diverse crepe sui muri dell’edificio e i 3.000 lavoratori sono stati fatti evacuare per motivi precauzionali, ma poco dopo è giunto il contro ordine: tutti dovevano tornare ai loro posti, poco dopo, la strage. Secondo Deborah Lucchetti, della Campagna Abiti Puliti, la tragedia sarebbe da attribuire all’irresponsabilità di un sistema produttivo che tende al ribasso sia per quanto riguarda la mano d’opera sia per quanto riguarda i controlli delle autorità sui posti di lavoro. La Lucchetti afferma che “le famiglie delle vittime rimaste senza reddito hanno diritto al risarcimento da parte delle imprese coinvolte per gli irreparabili danni subiti,oltre ad una immediata giustizia e all’assunzione di responsabilità di tutti coloro che dovevano prevenire questa carneficina”. Per porre uno stop a questi gravissimi incidenti la Campagna Abiti Puliti invita i marchi che si riforniscono in questo Stato di sottoscrivere il Bangladesh Fire and Building Agreement. L’obiettivo della CAP è quello di effettuare ispezioni indipendenti nelle strutture lavorative, della formazione dei lavoratori sul tema dei diritti e di una revisione delle norme si sicurezza. In questa iniziativa raccoglie il pieno appoggio delle organizzazioni per i diritti dei lavoratori. Questo accordo è già stato sottoscritto dalla società americana PVH Corp, proprietaria del marchio Kalvin Klein e Tommy Hilfiger e dalla tedesca Tchibo. Questo programma permetterebbe di tutelare le centinai di migliaia di lavoratori che operano attualmente in fabbriche insicure e molto spesso costruite in maniera illegale. Una violenta protesta dei lavoratori del settore tessile di Gazipur, città satellite nei pressi di Dacca, è stata sedata dalla polizia con l’uso di lacrimogeni e proiettili di gomma. Le centinaia di lavoratori scesi in piazza chiedevano l’arresto e addirittura la pena di morte per i proprietari dei laboratori crollati. Gli operai armati di spranghe e bastoni, hanno dato vita ad una vera e propria guerriglia urbana, prendendo d’assalto le fabbriche, distruggendo i veicoli in sosta e bloccando alcune strade con l’uso di copertoni dati alle fiamme. Ancora una volta sono i lavoratori a pagare caro il prezzo del capitalismo.