Dal Comitato per il diritto alle origini biologiche
Proponiamo di restituire giustizia ed eguaglianza a quella numerosa parte di cittadini, non riconosciuti alla nascita, per cui vige ancora oggi l’assurdo divieto di conoscere le proprie origini biologiche, sancito dall’art.28 della legge 184/83, che, contravvenendo palesemente a principi di civiltà giuridica unanimemente condivisibili, si colloca in direzione opposta rispetto alle Convenzioni internazionali, alle Direttive europee, e alle più recenti sentenze della Corte di Strasburgo, nonchè su posizioni differenti da quelle prese dalla più parte dei paesi d’Europa e del mondo.
Ad oggi esiste, infatti, un contrasto tra il “diritto della madre di non essere nominata nell’atto di nascita” (finora ritenuto prevalente) ed il “diritto della persona di conoscere le proprie origini” (elemento nuovo da tutelare), che andrebbe sanato senza ricorrere all’abolizione dell’anonimato, ma ricercando una nuova forma di equilibrio e contemperamento tra il diritto all’anonimato da parte della madre e il diritto alla conoscenza delle proprie origini da parte del figlio. È noto che il diritto della madre di non essere nominata nell’atto di nascita, pur costituendo una deroga assoluta rispetto ai principi affermati dall’ordinamento italiano, ha rappresentato, in passato, un elemento importante in situazioni di forte disagio sociale o dove interveniva la necessità di difendere il cosiddetto onore della famiglia.
È giusto tuttavia chiedersi se le evoluzioni della cultura e del costume non consentano, nell’epoca attuale, di assicurare alla donna una tutela diversa, valorizzando l’aspetto del sostegno e dell’aiuto psicologico, lasciando il non – riconoscimento quale ultima ratio, e prevedendo per l’anonimato stesso un termine plausibile e/o una possibilità di ripensamento, senza più ignorare, come finora avvenuto, i diritti del nato. Ogni persona, come affermato dalle convenzioni internazionali e dalla cultura e civiltà giuridica, ha diritto di conoscere le proprie origini. Quando ciò non avviene, si crea, nell’animo dell’interessato, un senso di vuoto ed angoscia, che non è possibile colmare e che perdura per tutta la vita, con gravi ripercussioni sulla salute mentale e su quella fisica (essendo egli privo di qualsiasi dato sanitario utile all’anamnesi).
Attualmente l’adottato ha diritto di conoscere le proprie origini solo quando sono trascorsi 100 anni dalla sua nascita e ciò lo condanna ad un’esistenza “incompiuta” e di attesa di una soluzione che potrebbe non arrivare mai. Noi proponiamo di ridurre questo termine a 40 anni, rendendo quindi possibile la realizzazione dell’aspettativa. Il termine dovrebbe essere ulteriormente ridotto (25 anni) nel caso in cui i genitori che abbiano chiesto di non essere nominati siano deceduti, risultino irreperibili o, interpellati, prestino il loro consenso. In tal modo la durata dell’anonimato assoluto è congruamente ridotta, pur permanendo per tutto il tempo in cui è presumibile possano sussistere le ragioni che la giustificavano e in questo campo l’esperienza insegna che tali ragioni sono spesso contingenti, legate a situazioni di vita momentanee e destinate a non sussistere e non avere più senso con il trascorrere degli anni.
In un Paese, come l’Italia, dove qualsiasi reato si cancella con il decorso del termine di prescrizione, è opportuno che 40 anni prescrivano” anche il divieto per l’adottato di conoscere le proprie origini.
E’ necessario anche intervenire sulla autorizzazione, oggi obbligatoria, da richiedere al Tribunale dei Minori per ottenere anche semplicemente il proprio atto integrale di nascita da parte di adulti maggiorenni come se fossero fanciulli :l ’art. 28/1 della legge sulle adozioni attualmente vigente dispone che il minore venga informato della sua condizione di adottato dai genitori adottivi.
La modifica costituirebbe la logica espansione di tale concetto.