'Ndrangheta a Nord, non solo pizzo. Il caso della Blue Call.
‘Ndrangheta a Nord, non solo pizzo. Il caso della Blue Call. Prima parte
L’insediamento delle cosche mafiose a Nord non è un fatto recente.
La ‘Ndrangheta risulta da tempo una realtà non esclusivamente calabrese: sempre più numerosi sono gli imprenditori del Nord Italia che aprono le porte a “famiglie” che si insinuano nelle loro attività, prendendone pieno possesso. Soldi riciclati, traffico di armi e droga, estorsioni e Comuni a rischio scioglimento per infiltrazioni mafiose, sono solo alcuni esempi della nuova realtà malavitosa italiana spostata a settentrione.
La ‘Ndrangheta trasferisce proventi illeciti controllando i mercati illegali, acquisisce imprese commerciali anche fallite e monopolizza appalti e subappalti edilizi.
In molti casi sono dunque gli stessi imprenditori a chiedere l’intervento della malavita organizzata, per tentare di risolvere i problemi economici della propria azienda in crisi, illudendosi di non rimanere risucchiati da un meccanismo in realtà incontrollabile. La tecnica d’infiltrazione della ‘Ndrangheta è subdola e irreversibile: non avviene infatti tramite intimidazione come al Sud con lo storico pizzo. A settentrione si impone come socio risolutivo, invitato al tavolo della spartizione di proprietà. Proprietà della quale diventa in poco tempo padrona assoluta.
Il Procuratore della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, parla della mafia calabrese affermando che essa è “una realtà polivalente, dunque organizzazione criminale violenta, impresa economica, apparato simbolico e struttura di potere in rapporto con il mondo istituzionale e con la società civile. In quanto tale riesce ad allacciare relazioni con la società civile e tali relazioni costituiscono uno dei fattori che rendono forti le associazioni criminali e spiegano la difficoltà a sconfiggerle”.
Interessante in questo senso si rivela il caso dell‘imprenditore Andrea Ruffino, titolare di un’azienda inizialmente fallita come Blue Voice e rimessa in piedi col nome di Blue Call s.r.l., importante call center lombardo con sede a Cernusco sul Naviglio (MI) e a Rende (CS). Riassume in modo molto chiaro la vicenda un servizio andato in onda su LA7 il 13 Aprile scorso, nel programma “Le inchieste di Gianluigi Nuzzi” , tramite raccolta di intercettazioni telefoniche e interviste a testimoni che preferiscono, per ovvi motivi, di non essere rivelati.
L’inizio della vicenza si dimostra da subito il punto di non ritorno per Andrea Ruffino, il quale cerca una soluzione ai problemi finanziari della ditta, rivolgendosi al commercialista Emilio Fratto. Questi è a sua volta collegato con Carlo Antonio Longo, procacciatore di affari per la famiglia Bellocco di Rosarno, capeggiata da uno dei figli del celebre ergastolano Giuseppe Bellocco, arrestato nel 2007.
I Bellocco fanno parte dei cosiddetti “casati” delle cosche calabresi, che per più di 100 anni hanno costruito e rappresentato buona parte del potere criminale della mafia calabrese. Nonostante i numerosi arresti, questa famiglia è rimasta tra le più forti e autorevoli della dorsale tirrenica.
Sembra che Andrea Ruffino e Tommaso Veltri, co-proprietario dell’azienda , fossero terrorizzati da un altro clan malavitoso originario di Isola di Capo Rizzuto: il Grande Aracri. Esso controllava da tempo la società, facendo ben presto irruzione al suo interno.
Dunque più di un motivo pare abbia spinto i due imprenditori a rivolgersi ai Bellocco, senza mai passare per le forze dell’ordine.
I calabresi di Rosarno vengono chiamati per offrire protezione. Sono ricchi, sanguinari e da tempo offrono prestiti fino alle porte della Svizzera. L’invito che Ruffino e i suoi collaboratori rivolgono a questa potente famiglia, si dimostra per il clan un ulteriore lasciapassare per gestire gli affari a Nord.
Longo e Fratto si adoperano come intermediari per tale azione, favorendo l’ingresso della famiglia nella Blue Call , che risulta evidentemente appetibile. Con l’insediamento dei Bellocco, il Grande Aracri di Capo Rizzuto si fa da parte.
Nel servizio di Nuzzi su LA7, viene intervistato un testimone, del quale si oscurano volto e voce. Egli parla dei buchi economici che l’azienda soffriva da tempo, ammettendo che ben 350mila euro l’anno venivano sborsati per il solo Veltri, oltre a macchine, carta di credito e contributi vari. Veltri risultava dunque il vero padre-padrone della Blue Call. Ma non era il solo a mettere le mani nelle casse della ditta. Continua il testimone : “Ruffino era uno di quelli che prendeva. Lui considerava le sue aziende il suo portafoglio privato”.
Ad ogni modo, con l’entrata in scena della ‘Ndrangheta il capitale dell’azienda aumenta, ma in virtù dei servizi resi, i Bellocco chiedono ed ottengono una grossa fetta della proprietà: il 30%. Al commercialista Emilio Fratto spetta un ulteriore 10%. I malavitosi fanno ingresso come soci della compagine dal gennaio 2011 e dopo pochi mesi ne hanno già il controllo totale. Ruffino e i suoi collaboratori pensano inizialmente di poter gestire la situazione, considerando il buon andamento dei flussi finanziari, ma le richieste dei soci occulti aumentano sempre più vertiginosamente.
In una telefonata intercettata dagli investigatori, Ruffino confida a Fratto le sue speranze di guadagno grazie ai Bellocco, ma la risposta del commercialista gli giunge chiara ed inquietante:
“Non hai capito proprio niente ancora, allora…mamma mia…”
‘Ndrangheta a Nord, non solo pizzo. Il caso della Blue Call. Seconda parte
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