Il Giornalista e lo Sciacallo
Non sono un giornalista, mi piacerebbe esserlo, ma scrivo e pubblico “articoli”, di vario genere, dalle riflessioni, alle recensioni, alla cronaca e proprio lavorando a questa mi sono venuti alla mente dei validi motivi per farmi un esame di coscienza.
Salvo alcune eccezioni, i lettori sono molto attratti da fatti di cronaca e quanto più aspra è questa tanto più si alza il livello di attenzione. Quando si parla di fatti come: misteriosa scomparsa, stupro di gruppo ai danni di una minorenne, efferato delitto alla periferia di qualche città, cadavere mutilato e via di questo tono.
Le tirature aumentano, la televisione imbastisce in tutta fretta degli speciali, se ne parla diffusamente in ogni TG e, naturalmente, aumentano i profitti degli editori e gli emolumenti dei giornalisti. Non troppo paradossalmente, così come un necroforo trae il proprio sostentamento dall’atto più drammatico dell’esistenza, allo stesso modo il giornalista si guadagna da vivere. Naturalmente sarebbe riduttivo fermarsi solo a questo, esiste la cronaca sportiva, il gossip, la moda, la cronaca cittadina, ma i fatti drammatici attirano la’attenzione di tutti. Ora viene da domandarsi: quanta empatia mette un articolista nei fatti che narra? Sente in maniera coinvolgente i drammi che descrive o, come un medico che riesce ad essere impassibile davanti a drammi umani indossando una corazza di professionalità, considera le cose solo come l’aspetto di un lavoro? Sono domande che mi faccio spesso quando scrivo, cerco sempre e ribadisco cerco, di mantenere prevalente la mia sensibilità di uomo della strada, cerco di fornire i fatti solo per quello che sono e prima di mettermi alla tastiera mi impegno a sentire la mia coscienza.
Forse questa mia affermazione non piacerà a molti, forse è solo una provocazione, ma qual’è il limite che separa un giornalista da uno sciacallo?