Appartenere o non appartenere, questo ci distingue
Appartenere: un bisogno primario, quasi animale e comune a tutti gli uomini. Sentirsi parte integrante di una società locale, nell’ambiente lavorativo, nella propria città, nel proprio quartiere è un elemento che accomuna ognuno di noi; appartenere, quindi è un bisogno, un’esigenza dell’uomo. Questo bisogno, sentirsi essenziali, non riguarda solo i luoghi che frequentiamo, la città in cui viviamo o il nostro posto di lavoro: l’appartenenza interessa cose e soprattutto persone.
In una relazione amorosa l’abbandonarsi completamente all’altro, cancellando i confini tra le due persone, i limiti caratteriali: un “noi” a cui apparteniamo fin dal primo istante. Il “sentirsi parte” di qualcosa è un bisogno primordiale, la ricerca perenne di una “casa” non come luogo materiale ma spirituale, dove si può essere se stessi, con tutte le ombre che caratterizzano la nostra persona, senza maschere o costruzione, con il nostro passato come muto insegnante. La casa come ristoro, ritrovo dei nostri piaceri o più semplicemente un abbraccio che ci consola, un fazzoletto che asciuga le nostre lacrime.
La casa dove ci si sente parte di una famiglia: la partenza e l’arrivo, le fondamenta dove si costruisce la persona e la sua crescita. La famiglia dove si viene accolti per ciò che siamo, ci sprona ad essere migliori per le persone che amiamo, la famiglia dove siamo nati e da cui siamo partiti, la famiglia che abbiamo creato con amore, passione e dedizione. Famiglia: una realtà, un’aspirazione, un ideale a cui guardare con rispetto.
Appartenere a una famiglia è un bisogno che ci accomuna, ma molti non credono più in questa istituzione.
I mille perché che caratterizzano ognuna delle diverse situazioni sono molto disparati: dalla mancanza di fede ad una precedente esperienza che li ha segnati. Chi non viene accettato nella famiglia in cui cresce, chi vive esperienze dure non riuscirà a credere che l’unione tra persone possa essere qualcosa di duraturo e vero. Il dolore ci segna cambiando il nostro modo di guardare il mondo. A volte, invece, accade il contrario: una situazione difficile fa nascere in noi il bisogno di creare una famiglia stabile, sana per le persone che la compongono. C’è chi crede nella famiglia, come prima istituzione, la prima realtà di comunità che viviamo; altri non ci credo affatto, vedendola come un morbo che ammazza definitivamente l’amore. Realtà diverse che convivono ogni giorno attraverso ognuno di noi. C’è chi la colpa la conferisce alla società, al nostro paese, ai media; chi invece afferma che è un semplice passo nella nostra evoluzione: riuscire a bastarsi, contando solo su se stessi.
Ma la famiglia non è che un io più grande? Come noi siamo sia mente, cuore, anima e corpo la famiglia non è altro che un io formato da svariate persone?
Credere o non credere, integrarsi in una realtà sociale o più semplicemente vivere nella solitudine, crearsi una famiglia, dimenticarsi dei proprio genitori: appartenere a una realtà è un bisogno che ci accomuna, nonostante le diverse idee e ideali che ci caratterizzano. L’uomo come lupo, nasce in branco ma può vivere in solitudine. Creandosi una famiglia, vivendo da soli, amando l’altro senza vincoli oppure giurarsi “per sempre”, l’eternità come unico limite: sono milioni le realtà che vivono contemporaneamente nella società d’oggi, arricchendola.
Un vecchio detto dice:
“Il mondo è bello perché è vario” e forse è davvero così.