Prigionieri di paura. Stalking
Amore estorto con il ricatto dei sensi di colpa, passione assillante, senso di possesso ed egoismo trasformano un sentimento profondo in proprietà, in ossessione patologica, in violenza. Il rifiuto, allora, assume le vesti della frustrazione.
Ed è proprio quest’ultima che, insieme all’incapacità di superare il distacco o l’abbandono, può determinare comportamenti patologici. Piuttosto di recente anche il codice penale si è interrogato su una questione tristemente attuale che è conosciuta con il termine anglosassone Stalking . Si tratta di un vocabolo preso opportunamente in prestito dall’attività venatoria, in quanto il fare la posta esprime compiutamente, sul piano figurativo, sia il comportamento del molestatore assillante, sia le reazioni psico-fisiche che la sua condotta produce in danno della sua vittima.
La giurisprudenza, dunque, tenta di colmare le lacune di tutela determinata dall’incapacità dell’incriminazione di minaccia, molestie, e violenza privata a fornire un’adeguata risposta repressiva al profilo criminologico di colui che pone in essere comportamenti consimili in maniera seriale. Ed è proprio in tale serialità che si individua l’effettiva lesione del bene tutelato. Sul piano oggettivo la condotta si traduce nel recare minaccia o molestia tale da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura. Le condotte sono facilmente fraintendibili quindi, il reato in commento, finisce per rimanere sospeso su una nuvola di congetture.
La stessa figura dello stalker è ambigua e contraddittoria. Vero è che nella natura dell’essere umano vi sono antinomie e paradossi, ma essere proiettati verso un amore malato vuol dire ammalare l’essenza stessa dell’amore.
Ancora oggi vi è poca informazione sul reato di Stalking si tende a sottovalutare comportamenti chiave che, ad un occhio più attento ed a un cuore più sgombro, sarebbero facilmente visibili e condannabili. Sensibilizzare è sempre indispensabile; molte situazioni di malessere si annidano nell’ignoranza, comportamenti violenti appaiono normali perché li si è visti subire alla propria madre e, allora l’idea di un destino comune imprigiona vite giovani e fragili.
Kahlil Gibran, poeta libanese, sosteneva saggiamente
tenetevi gli uni accanto agli altri, ma non troppo vicini, così come le colonne del tempio si ergono a distanza, come il cipresso e la quercia non crescono l’uno all’ombra dell’altro.