Lo smantellamento dello Stato Sociale. Onlus e politiche di sviluppo
Lo smantellamento dello Stato Sociale, almeno in Italia, sembra attuarsi in modo sempre meno progressivo, ma sempre più autoritario, e se leggiamo il programma di Monti, per chi si è preso la briga di leggere i quattro punti, è proprio una mannaia dal cielo, una ghigliottina. Contemporaneamente si assiste all’incremento vertiginoso del fenomeno “onlus”, dette anche “organizzazioni no profit”, che sorgono come funghi con il presunto obiettivo di supportare lo Stato dove questo non arriva.
La correlazione tra il venir meno dello Stato Sociale e il favore verso questa fenomenologia che ne prende il posto, adombra il sospetto che lo Stato, più che farsi coadiuvare da queste organizzazioni, si defili volentieri dai compiti che ha ereditato dalla dottrina dello Stato Sociale, sorta tra il XIX e il XX secolo e che è stata messa in opera in Italia dopo il 1922.
Se, infatti, la concezione primaria dello “Stato” era quella di garantire l’ordine, o meglio la sicurezza sociale, tramite la cessione allo Stato da parte dell’individuo del proprio diritto all’autodifesa, -così come chiarito nel Leviatano di Hobbes-, successivamente, passando attraverso lo “Stato di diritto”, lo Stato progredito ha acquisito ulteriori compiti che lo pongono come custode e attuatore dei diritti primari dei cittadini sotto forma di Stato Sociale, che si propone l’alto compito di assistere il cittadino nella sua realizzazione sociale al servizio della Nazione.
Questi diritti ora non sono più garanzie statali, ma sono diventati feudo e prerogativa di associazioni caratterizzate in qualche modo da precarietà nella durata, nell’organizzazione, nei finanziamenti. Se queste organizzazioni sopperiscono “brevi tempore” alle carenze statali e dovrebbero favorire la libertà d’impresa, – che sempre più spesso, di rimando, viene afflitta da quelle che dovrebbero essere “politiche di sviluppo”,- lasciano, tuttavia, aperti degli interrogativi ai quali sarebbe opportuno dare delle risposte sulla base di inchieste serie e puntuali.
Onore alle organizzazioni di veri volontari che quotidianamente si affannano a garantire ai cittadini servizi sociali di qualità, nonostante sarebbe auspicabile che lo Stato si riappropriasse, senza continue deleghe, dei suoi compiti. Tuttavia, basta scorrere sulle pagine del “web” per scoprire che un numero piuttosto grande di organizzazioni di questo tipo scelgono preferibilmente di aiutare poveri e sventurati del quarto mondo, a fronte dei tanti disperati di questa Italia da terzo mondo. Vari sono i casi in cui le stesse associazioni sono organizzate da persone con vincoli di parentela o affinità, fungendo talvolta da canali di procacciamento di clientela per professionisti del settore all’inizio della loro attività. Spesso le stesse attingono a finanziamenti comunitari e regionali che sembra siano sovvenzionati dalle tasche dei contribuenti che vanno a finanziare attività nel terzo mondo oppure attività in loco doppioni di altre attività. Occorre presentare dei progetti per ricevere questi finanziamenti, progetti che non sempre coprono serie esigenze del territorio di appartenenza e che meriterebbero un più attento impiego e controllo della destinazione del denaro.
Una volta ottenuti i fondi, però, bisogna mantenere l’attività in vita con necessità di rifinanziamento talvolta grazie a compiacenze, per ipotesi, che potrebbe prestarsi ad operazioni sotto periodo elettorale.
Sorge, poi, il sospetto che se il numero delle organizzazioni che lavorano con l’estero è considerevole un qualche vantaggio potrebbe esserci!
Se diamo uno sguardo all’articolo de “L’Espresso” di Del vecchio e Pitrelli dal titolo “Onlus che truffa” (11 ottobre 2007) ha segnalato che spesso camuffate da onlus si nascondono vere e proprie attività profit, a danno dei veri volontari, e che le onlus non pagano l’imposta sul reddito, perché i proventi non sono soggetti all’Ires (imposta sul reddito delle società con aliquota al 27,50%), oltre ad effettuare molte operazioni senza IVA ed ulteriori esenzioni.
Oltretutto, ci sono state inchieste della magistratura e in particolare del p.m. Luigi De Magistris, che hanno provato ad indagare su organizzazioni con dichiarate finalità “umanitarie” che sembra vantassero non ben chiariti legami con la massoneria europea. Nell’indagine del magistrato che partiva da maltrattamenti inflitti ai ricoverati di una clinica erano emersi malcelati legami tra professionisti del settore neuropsichiatrico e la massoneria coperta, attraverso affiliazioni a clubs come il Kiwanis International, sulle quali non si è potuta fare luce, pare, per la contrarietà della Repubblica del Titano, ovvero San Marino. (cfr. Rita Pennarola, 09.09.2009, Sfida ai massoni coperti).
Ci si chiede, all’esito delle riflessioni di cui sopra, quanto la beneficenza sia solo beneficenza, quanto questa sia frammista al “business” e in che misura, quanto si tratti di “business” trasparente nel rispetto dei contribuenti europei, quanti e quali collegamenti esistano, se esistono, con la politica. Ci chiediamo, inoltre, certo in modo retorico, se la c.d. “operazione volti puliti” abbia compreso nell’ambito di questa tornata elettorale nelle varie liste delle scelte trasparenti anche in relazioni ai legami di cui sopra.