Cronaca

La mia Giornata della Memoria

downloadIeri era la Giornata della Memoria.

Non voglio propinarvi l’ennesimo articolo commemorativo. Credo che in questi giorni ne abbiate letti troppi, e troppi servizi al telegiornale vi siano passati sotto gli occhi, magari senza troppo interesse. Dicevano tutti la stessa cosa, erano sempre uguali. Non voglio ripetere la storia del motivo per cui è stati scelto un giorno per ricordare le vittime del nazismo, la scelta del giorno specifico e le atrocità commesse.

No, sono parole udite troppe volte, parole che non arrivano più agli animi.

Vi racconterò invece la Mia Giornata della Memoria. Il mio viaggio, compiuto alla fine di un Gennaio di molti anni fa, su quei terreni macabri.

Voglio provare a lasciarvi un briciolo di quel che ho vissuto.

Avevo diciotto anni che è, in un certo senso, un’età maledetta. È un’età in cui il senso critico e la capacità di discernimento sono ormai adulte, la sensibilità è ancora molto tenera. È un’eta pericolosa.

La regione Toscana, in cui sono nata, organizzava Il treno della memoria; sceglieva due ragazzi da ogni istituto superiore della regione e li mandava una settimana in Polonia, insieme a esperti, testimoni, e uno sparuto gruppo di giornalisti. Non vi racconto le vicissitudini che mi portarono lì, per un fortuito caso partii, insieme a un treno di sconosciuti.

Durante quella settimana vedemmo molti luoghi storici, vi risparmierò anche quelli. La temibile scritta Il lavoro rende liberi, la fabbrica di Schinder, innumerevoli luoghi di tortura… no, non è questo il punto, il punto è Birkenau.

Vi giungemmo di mattina, dopo 24 h di viaggio. Viaggiavamo comodi, ma una certa inquietudine aleggiava tra i vagoni. Scendemmo dal treno e fummo subito portati al campo, con tutti i bagagli ancora nel Pullman, senza avere il tempo di realizzare eccoci, ci siamo, senza il tempo di una doccia, senza poterci cambiare. Piccole cose rispetto a ciò cui andavamo incontro, rispetto a ciò che era successo, fecero comunque effetto nella nostra percezione. Ci “prepararono”.

In questo periodo in Polonia fa freddo, molto freddo, un freddo allucinante in una distesa ghiacciata. Il campo di Birkenau è grande, è immenso, è orribilmente brullo, solo ghiaccio e catapecchie di legno e terra battuta. L’aria biancastra impediva la vista oltre pochi metri. Era allucinante e noi allucinati.

Visitammo il campo per quattro ore consecutive, con una guida che ci spiegò ogni cosa nei più terribili particolari. Non furono quelle parole, non fu lo stare quattro ore al gelo – -20°/-25° circa– dopo il lungo viaggio, non fu la stanchezza. No, quel posto parlava da solo, isolava e alienava, ci aveva tolto ogni sensazione se non una terribile i incommensurabile impotenza. Il freddo era diventato interiore, e da quello non ci si può coprire.

Iniziò a nevischiare -più che altro tocchi di ghiaccio che cadevano dall’alto-, ma nessuno si coprì, nessuno di noi era davvero presente fisicamente.

L’unica idea rimasta era il senso di asurdità. Non era vero niente, né di quello che era stato, né di quello che era. Io non ero lì, e nello stesso tempo quella marcia terribile non sarebbe mai finita. Finì, invece, e ci portarono a mangiare in una tavola calda. Una zuppa invitante e bollente, che nessuno toccò.

Tornammo al campo e salimmo su di una collinetta, non vi sto a dire a cosa serviva. Ci distribuirono delle torcie e le accendemmo. Era ormai caduta l’oscurità, solo le torce facevano un poco di luce. Nessuno parlò, nessun discroso, nessuna preghiera, solo una voglia infinita di piangere. E un qualcosa che si scioglieva, bisogno di affetto, di un contatto, bisogno di vedere che il vicino era sempre lì vicino. Era evidente in tutti i volti, avevamo tutti lo stesso brivido.

Pian piano le torce si consumarono, silenziosi tornammo verso l’uscita, certi che una simile emozione non sarebbe mai più stata possibile.

Così è stato, sono passati molti anni e quel pomeriggio lo ricorderemo per sempre.

Sheyla Bobba

Classe 1978. Appassionata di comunicazione e informazione fin da bambina. Non ha ancora 10 anni quando chiede una macchina da scrivere come regalo per il sogno di fare la giornalista. A 17 anni incontra un banchetto del Partito Radicale con militanti impegnati nella raccolta firme per l’abolizione dell’Ordine dei Giornalisti e decide che avrebbe fatto comunicazione e informazione, ma senza tesserino. Diventa Blogger e, dopo un po’ d’inchiostro e font, prende vita il magazine online SenzaBarcode.it Qualche tempo dopo voleva una voce e ha creato l’omonima WebRadio. Con SBS Edizioni & Promozione si occupa di promozione editoriale e pubblicazione. Antipatica per vocazione. Innamorata di suo marito. Uno dei complimenti che preferisce è “sei tutta tuo padre”.

2 pensieri riguardo “La mia Giornata della Memoria

  • anna laura

    Mi hai fatto provare “quel” freddo senza farmi andare ,nemmeno con la mia memoria, in fatti ed eventi che sottendono le tue parole e che quindi sono presenti nel tuo pezzo pur senza apparire.Come se facessero ormai parte di una memoria collettiva.Ed è questa la tua chiave di lettura

  • anna laura

    Mi hai fatto provare “quel” freddo senza farmi andare ,nemmeno con la mia memoria, in fatti ed eventi che sottendono le tue parole e che quindi sono presenti nel tuo pezzo pur senza apparire.Come se facessero ormai parte di una memoria collettiva.Ed è questa la tua chiave di lettura

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