La guerra alle droghe si vince anche con la giusta informazione
Il proibizionismo sulle droghe ha fallito: è questo il messaggio più volte trasmesso dai relatori del convegno dal titolo: Sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione nella comunicazione pubblica, sociale e politica.
Un incontro tra esperti – giuristi, scienziati sociali, medici – quello organizzato il 10 febbraio presso la Camera dei Deputati dal Consiglio Italiano per le scienze sociali e dall’Istituto Luca Coscioni per individuare i cortocircuiti che contraddistinguono nel nostro Paese la politica sulle droghe, a partire dalla corretta informazione.
Come ha ricordato la presidente dell’Istituto, Farina Coscioni, rimangono spesso inascoltate le parole del premio Nobel per l’economia Gary Becker e del collega Kevin Murphy che dalle colonne del Wall Street Journal avevano dichiarato che gli esiti della guerra alle droghe erano stati fallimentari e controproducenti.
Si tende piuttosto con l’espressione ‘guerra alla droga’ a mettere in atto politiche repressive non contemplando la presa in carico di chi fa uso di droghe, non rispettando – più che tollerando -tutta quella sfera di chi avrebbe bisogno di assistenza sanitaria.
La Relazione al Parlamento
Come ha sottolineato Carla Rossi, vicepresidente del Consiglio Italiano per le scienze sociali nel suo intervento “il problema dell’informazione nell’ambito della droga è un problema assai complesso perché l’uso delle sostanze illegali è in gran parte nascosto . Il documento che ufficialmente sintetizza e produce tutta l’informazione sul problema è la Relazione al Parlamento sulle droghe. Quella del 2015, per la prima volta dopo oltre 5 anni, ha l’obiettivo di portare informazione, a differenza delle precedenti che sono state vittime dell’ideologia. Ciò che noi sappiamo di certo sul fenomeno è solo la punta di un iceberg, cioè i dati amministrativi -sanitari, delle prigioni, dei processi, della polizia – . Ma se vogliamo analizzare il più vasto fenomeno, che è la parte sommersa dell’iceberg, abbiamo grosse difficoltà perché solo il 30% della popolazione generale risponde alle indagini effettuate. Nelle scuole invece c’è oltre il 90% delle risposte. Come riporta la Relazione al Parlamento, nel 2014 le operazioni antidroga sono state 19.449, con un decremento rispetto al 2013 pari all’11,47% . Ogni operazione poliziesca identifica in media 1,55 persone; il che significa che sono ben pochi quelli presi dall’operazione antidroga. Altri dati mostrano che solo il 6% delle sostanze viene eliminato dal mercato. Il che significa che il 94% della popolazione di coloro che smerciano droga non è visibile in un certo anno. Questa stima è coerente con quello che è riportato nella relazione ufficiale dell’Antimafia”.
Salute in carcere
Un altro tema affrontato durante la mattinata di studi è stato quello della salute in carcere, attraverso la relazione dello psichiatra forense Franco Scarpa, direttore dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo Fiorentino. Ricordiamo che il trasferimento delle competenze sanitarie sui detenuti dal Ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale e ai Servizi sanitari regionali è stato definito con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’1 aprile 2008. Il dottor Scarpa ha presentato alcuni risultati dello studio coordinato dall’Agenzia Regionale di Sanità della Toscana. “E’ emerso che su 15000 detenuti a cui in un dato momento è stato preso in considerazione lo stato di salute, il 40% e oltre delle patologie hanno a che fare con disturbi psichici anche associati a uso di sostanze, quindi ad una condizione di dipendenza. Ciò fa riflettere sulle necessità di dover intervenire in maniera forte non solo con i Sert ma anche con tutti i servizi delle aziende sanitarie e nello specifico con il dipartimento di salute mentale. L’altro dato che emerge e che è molto preoccupante è che c’è un utilizzo estremamente elevato di farmaci del sistema nervoso – psicofarmaci -. Ogni persona con diagnosi psichica assume in media 2,3 farmaci di tipo psichico, tra cui abbondano le benzodiazepine, gli ansiolitici. La domanda che bisogna porsi è se tali sostanze vengono somministrate solo per problemi psichici o anche per sedare i sintomi dell’astinenza da stupefacenti. Sono farmaci che possono condurre a azioni di autolesionismo o anche suicidio. Bisogna intervenire su questo problema offrendo lavoro, risorse, attività, trattamenti alle persone detenute. La tossicodipendenza, come anche l’immigrazione, la follia, l’anomalia, la perversione vengono considerate come un pericolo per la sicurezza pubblica e un allarme sociale e quindi il primo strumento che si utilizza contro di esse è la restrizione e l’allontanamento dal contesto sociale”.
Durante il convengo sono intervenuti anche Luca Landò (giornalista scientifico), Paolo Fontanelli (questore della Camera dei Deputati, Partito Democratico), Alessandra Liquori ONeil (Programme Officer UNICRI), Antonio Cavaliere (ordinario di diritto penale presso l’Università Federico II di Napoli): per riascoltare tutti gli interventi si può andare sul sito di Radio Radicale.